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Il numero mensile del Laboratorio europeo di Anticipazione Politica (LEAP) - 15 Dic 2018
L'estratto pubblico

Gilet gialli (Francia)[1], manifestazioni pro e anti Brexit (Regno Unito)[2], crisi politica tedesca (Germania)[3], indipendentismo catalano (Spagna)[4], battaglia sul bilancio (Italia)[5], riforma della legge sul lavoro (Ungheria)[6], patto di Marrakech e rimpasto di governo (Belgio)[7]… la dimensione europea delle crisi sempre più violente che alimentano l’attualità dei paesi è impressionante.

Avvertenza: vi raccomandiamo di prestare particolare attenzione alle numerose note a piè di pagina che corredano questo articolo; l’attualmente è veramente preoccupante.

Da due anni, la crisi europea espressa e accelerata dalla conclusione del referendum britannico impone una vasta rifondazione del progetto europeo. Ma due anni dopo, in un’Europa senza una leadership, la mobilitazione di molteplici attori (fazioni politiche, governi, interessi economici, potenze straniere, ecc.) alle ricerche di soluzioni e di mezzi per metterle in atto prende la forma sempre più visibile di un gran da fare dove le azioni si annullano, rivelando agli europei l’enorme marasma politico del continenti scatenando la loro collera o seminando il panico per le strade.

Purtroppo, le varie interpretazioni nazionali a cui si presta questa crisi europea unica racchiudono più che mai cittadini e politici nelle loro frontiere. Se infatti c’è una sola grande crisi europea, ogni nazionalità vi vede un’applicazione nei fatti talmente diversa da quella dei propri vicini che per noi leader è sempre più difficile farvi fronte. Ad una crisi comune è pertanto una risposta comune che occorrerà trovare. Ma le possibilità che questa risposta comune venga dall’interno diminuiscono a mano a mano che gli europei sprofondano nelle acque torpide delle loro ristrette visioni nazionali.

Da tredici anni, il GEAB si impegna a rilevare le coerenze dell’attualità apparentemente disparata di un sistema comunque notoriamente globalizzato. In questo articolo dedicato alla crisi europea in vista delle elezioni europee, ci addentreremo in questa ricca attualità, tentando di dare un senso al caos e di mostrare la densità di date importanti.

Caos di strategie e strateghi

Per prendere le dovute distanze, torniamo ai temi fondamentali del calendario europeo particolarmente carico di dossier conflittuali nei prossimi mesi:

. fine del QE della BCE[8];

. riforma della zone euro;

. lancio delle società veicolo e dell’internazionalizzazione dell’euro (ci ritorneremo);

. firma di un nuovo accordo commerciale con gli Stati Uniti;

. probabile esplosione nei Balcani;

. uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione;

. elezioni europee.

Concentriamoci in particolare sugli ultimi due:

. Meno di due mesi le separano (29 marzo per la Brexit, 23-26 maggio per le elezioni) sapendo che la prima, da un lato, è solo tra tre mesi e, dall’altro, influisce direttamente sulla seconda.
. La prospettiva di queste due date mobilita tutta una serie di attori combinanti strategie diverse.
. Fonte supplementare di caos, gli assi strategici che portano alla data della Brexit non sono necessariamente gli stessi che portano alla data delle elezioni, non mobilitando gli stessi identici attori.

. Altro significativo fattore di panico, queste strategie avanzano verso un futuro instabile costringendo ogni attori a prevedere tutta una serie di piani B. Le questioni poste attualmente sulla concretizzazione o meno dell’uscita del Regno Unito non sono di poco conto, poiché determinano, ad esempio, la presenza o meno degli elettori britannici alle elezioni…

Riassumendo, abbiamo quindi numerosi attori, fortemente mobilitati, rispetto, in particolare, a due eventi europei distinti di cui il primo crea incertezza sul contesto nel quale si svolgerà il secondo. E in vista degli eventi-chiave, le strategie cominciano ad uscire dai laboratori dove sono state concepite per prendere il volo in un cielo sempre più gremito. Scontri inevitabili, quindi.

Contesto mondiale: il tempo stringe!

Nonostante tutto, tutto andrebbe ancora bene se l’Europa fosse sola al mondo. Ma vanno anche ricollocate i cambiamenti europei in un contesto internazionale oggetto dello stesso tipo di ridefinizione mettendo in scena un altro grande dibattito al quale è coinvolta tutta un’altra serie di attori: organizzazioni internazionali responsabili della stabilità del mondo, Stati nazionali che tentano di liberarsi dal vincolo di stabilità imposto dai precedenti ma diventato incompatibile con le nuove realtà, potentissimi attori economici multinazionali che giocano bene le loro carte, popolazioni schiacciate sotto questa battaglia tra titani. Citiamo le battaglie riguardanti più gli europei.

Europa-Russia: innanzitutto c’è la trappola ucraina nella quale Europa e Russia sono cadute nel 2014 e i cui sforzi per uscirne (lo speriamo, comunque) sono purtroppo falliti. Oggi, lo scisma della chiesa d’Oriente innescato dall’Unione impedisce nuovamente ogni prospettiva di uscita dalla crisi[9]. Eppure il tempo stringe! Il ministro russo degli affari esteri Lavrov ha mandato all’Europa messaggi sempre più preoccupanti sulla situazione nei Balcani[10] dove la Serbia minaccia di invadere il Kosovo[11] mentre lo stesso Kosovo decide di armarsi militarmente[12], solo questo! Come abbiamo spesso detto, se la relazione euro-russa non può più costruirsi sulla base dell’Ucraina come avrebbe dovuto essere, sono i Balcani che ci dovrebbero costringere. Una divisione di questa regione avrebbe infatti conseguenze ancora più gravi di quelle dell’Ucraina.

(A mano a mano che redigiamo questo articolo, la situazione degenera… I Balcani sono davvero sull’orlo di una nuova guerra nella quale Europa e Russia non potranno più far altro che sostenere i loro rispettivi campi…)

Medio Oriente/Società veicolo: poi c’è la trappola medio-orientale del conflitto latente tra Iran e Arabia Saudita intorno al quale si incrociano in particolare due strategie: quella del presidente Trump, consistente nell’innescare la trasformazione della regione a cominciare dall’Iran, e quella degli europei che puntano a partire dall’Arabia Saudita. Il caso Khashoggi ha seriamente rimesso in discussione il vantaggio che all’inizio deteneva il campo Trump-israelo-saudita favorendo ormai quello euro-turco-russo-iraniano. Ma nulla è ancora deciso, non è ancora finita, e le controstrategie sono sempre di più, si annullano, rendono complessa l’azione e ritardano l’esito.

Eppure anche qui il tempo stringe! L’Europa ha infatti collegato la propria politica medio-orientale ad una strategia di internazionalizzazione dell’euro. È questa la vera ragione per la quale l’Europa ha preso questa posizione, relativamente inaspettata, a favore dell’Iran e della Russia contro Israele e Trump: l’urgente richiesta iraniana nel mantenere gli scambi commerciali UE-Iran ha giustificato la creazione delle famose società veicolo (SPV) destinate a consentire scambi in euro, per sfuggire alle sanzioni che gli Stati Uniti sono in grado di esercitare quando è il dollaro ad essere utilizzato[13]. Ma le società veicolo sono l’internazionalizzazione dell’euro, né più né meno… quella internazionalizzazione che il GEAB ha visto profilarsi entro il 2006 quando avevamo gli occhi puntati sul progetto di borsa iraniana del petrolio… in euro[14]. Tredici anni dopo, l’Europa sembra alla fine pronta a infrangere il divieto rappresentato dall’internazionalizzazione della propria moneta, approfittando della cattiva reputazione dell’attuale presidente USA e della legittimità nel rispettare gli accordi internazionali come quello sul nucleare siglato con l’Iran nel 2015[15]. Ma un divieto resta sempre un divieto e la prospettiva dell’arrivo di una terza moneta internazionale (dollaro, yuan e euro) sullo scenario monetario mondiale non è che piaccia a tutti – c’è bisogno di precisarlo? – e mobiliterebbe numerose strategie di bloccaggio… La data di lancio è imminente[16]!

Figura 1 – Produzione di petrolio dell’Iran, 2011-2018, secondo il calendario delle sanzioni americane. Fonte: Safety4Sea.

USA-Cina: La guerra commerciale Cina-Stati Uniti è un terzo asse delle forti tensioni che stanno attraversando l’Europa. Anche qui, si tratta di evitare di cadere nella trappola di dover scegliere. Le prospettive sono poco chiare, tra l’accordo commerciale che Trump sta tentando di negoziare con Xi[17] e i violenti attacchi che hanno cominciato ad avere luogo, inaugurati dall’arresto della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, dal Canada certo ma su richiesta innanzitutto del sistema giudiziario americano[18]. Al che la Cina ha subito risposto arrestando colpo su colpo due cittadini canadesi[19]. Quando si comincia a fare prigionieri, ecco che la guerra ha inizio. E le velleità di indipendenza espressa fino a poco tempo fa dal Canada (prima dell’estate) hanno vita breve[20]… lasciando perplessi gli europei sulla pertinenza delle loro[21]. Di fatto, non dovremo aspettare troppo a lungo per trovare un’Europa – a giusto titolo – spaventata dall’arrivo del gigante cinese nel suo piccolo giardino. Tale preoccupazione, invece di degenerare in una chiusura alla Cina, farebbe meglio a motivare il negoziato di trattati commerciali euro-cinesi protettori degli interessi di ciascun campo e della fluidità degli scambi. Il caso Huawei e le ripercussioni che conosce già in Europa[22] andranno nella giusta direzione? Anche qui la pluralità di punti di vista porta verso molte «giuste direzioni», con ciascuno che si batte per imporre il proprio.

Prime sconfitte della grande battaglia per la presa di controllo dell’Unione

Guardiamo adesso a quello che filtra tra le informazioni e sul terreno di questa lotta tra titani a partire dalle prime vittime.

Francia/gilet gialli: Ad insaputa dei principali protagonisti, la crisi dei gilet gialli arriva a suggellare il tentativo francese di assumere le redini dell’Unione tramite Macron su questioni in particolare di riforma della zona euro[23], di democrazia europea[24] e di indipendenza strategica[25]. Il passo indietro che ha dovuto fare il presidente francese[26] e il suo susseguente indebolimento politico all’interno dell’Unione pongono fine alla sua visione d’Europa[27], visione dopotutto troppo francese (troppo centralizzatrice) e soprattutto ormai obsoleta: la storia non si ripeterà, e con gli europei in totale diffidenza bisognerà pensare a tutto quello che reca il termine «Europa». La lista dei fallimenti del progetto di Macron è lunga: rifiuto del progetto di riforma della zona euro[28], smussare la proposta franco-tedesca a favore di un budget della zona euro[29], rifiuto dell’idea di liste transnazionali alle prossime elezioni[30], rifiuto del progetto di tassa europea sui GAFA[31]… In quanto al progetto di difesa comune, le dichiarazioni molto francesi secondo cui l’Europa costruisca un proprio esercito per proteggersi «dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalla Russia»[32], non gli hanno permesso di acquisire i francesi, facendogli probabilmente perdere una parte degli altri europei e sicuramente gli Stati Uniti[33]. Difesa europea, riforma dell’euro o difesa comune, non è Emmanuel Macron l’unico che potrà avvalersene.

Germania/CDU: E visto che siamo in Germania, restiamoci.

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