La decisione cinese all’inizio del 2018 di introdurre yuan petro-gas convertibili in oro è un passo importante verso l’internazionalizzazione dello yuan e conferma la volontà di Pechino, affermata da un decennio, di imporre il renminbi (nome ufficiale della moneta cinese) come moneta di riferimento internazionale. La decisione del FMI nell’ottobre 2016 di introdurre lo yuan nel paniere di monete della valuta, i Diritti Speciali di Prelievo (DSP), dopo varie riforme e un’intensa pressione cinese, è stata un passo cruciale verso tale internazionalizzazione. La nascita del petro-yuan, oltre un anno dopo, ne è un altro.
La contraddizione cinese: la necessità di controllare e di liberalizzare
Il governo cinese dovrebbe accelerare tale movimento seguendo una strategia più ampia. Da questo punto di vista, i segnali non mancano. Ad agosto, il governo di Pechino ha annunciato 22 misure per aprire l’accesso ai mercati finanziari. Un mese dopo, un rapporto del gruppo di esperti China Finance 40 Forum, comprendente, tra gli altri, alcuni membri della Banca Centrale e della Banca Popolare Cinese (PBOC)…, ha chiesto di andare oltre fin da ora con la liberalizzazione del mercato dello yuan[1]. All’inizio di ottobre, Zhou Xiaochuan, governatore della PBOC da quindici anni che lascerà alla fine dell’anno, ha appoggiato una «triplice liberalizzazione»: quella dei capitali, del commercio e dello yuan[2]. A suo parere, la Cina non deve attendere «che ci siano tutte le condizioni» per fare oscillare lo yuan. Secondo il governo della PBOC, il futuro sviluppo economico della Cina passa per l’internazionalizzazione dello yuan che attirerà i capitali esteri. Si tratterebbe quindi del chiaro impulso ad una crescita fragile e artificialmente gonfiata dal credito.
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