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Il numero mensile del Laboratorio europeo di Anticipazione Politica (LEAP) - 15 Apr 2021

2025 – Quando il mondo lascerà l’Occidente per la Cina…

Nella morsa della guerra USA-Cina venutasi a creare negli ultimi anni, l’arrivo di Biden alla Casa Bianca e la strategia di adesione di un campo di “alleati” intorno all’America per “contenere” la potenza cinese[1], gli europei potrebbero essere tentati a credere che il campo occidentale vincerà.

Questa sensazione è rafforzata dalla cortina di fumo eretta da un sistema d’informazione americano-centrico tra noi occidentali e non solo la Cina ma anche il resto del mondo. Guardando più obiettivamente a quanto accade nell’altro mondo, ci sono motivi per mettere in dubbio la possibilità di vincere la guerra (commerciale, ideologica, tecnologica e perfino militare) che l’America sta rivolgendo alla Cina in risposta al progetto (ancora per il momento) pacifico di cosviluppo.

Non dimentichiamo che la protezione strategica americana dell’Europa è il risultato dei nostri errori all’inizio del XX secolo. Oggi, l’Europa è in relativa posizione di forza e in grado di negoziare la propria autonomia strategica svolgendo abilmente il duplice potere mondiale attuale. Sarebbe sconvolgente se ci ritrovassimo invece a dover scegliere un campo che ci spingerebbe a commettere nuovi errori riportandoci ad una situazione di debolezza strategica a vantaggio questa volta… della Cina.

A sostegno di questo avvertimento, il presente articolo argomenta l’idea che l’America farà molta fatica a vincere la guerra contro la Cina che sta proponendo ai suoi alleati.

America-Cina: panoramica del rapporto di forza

Cominciamo col guardare un po’ più da vicino come Cina e Stati Uniti sono confrontati grazie a questa infografia dell’ottimo sito VisualCapitalist.

Figura 1 – Le due economie, americana e cinese. Fonte: Visual Capitalist.

Staccare l’America dalla Cina

Nel corso degli ultimi trent’anni, gli Stati Uniti si sono “legati” alla Cina senza effetti collaterali. Ma da dieci anni gli effetti di questa dipendenza sono cominciati a diventare visibili e a porre dei problemi. Perché? Molto semplicemente perché la Cina, dopo aver lavorato duramente come suggerito da Deng Xiaoping, intende costruire una società moderna vedendo ricompensati tutti i propri sforzi. E gli Stati Uniti sono venuti a mancare…

Questa nuova tappa della strategia cinese pone dei problemi Stati Uniti i quali alla fine si sono resi conto di quanto le comodità della vita fossero legati agli sforzi cinesi. Di fronte alle prospettive di un capovolgimento della produzione cinese verso il mercato interno, all’aumento di livello e dei prezzi di questa produzione, al rincaro della manodopera cinese, al dirottamento di una parte significativa dell’energia a vantaggio delle classi medie emergenti… il potere d’acquisto di un’America molto più povera di quanto pensava di essere rischia di non resistere.

Nota da una quindicina d’anni, questa realtà ha dato luogo a diverse strategie da una parte all’altra del Pacifico:

. la Cina propone una transizione graduale portando altre regioni del mondo a seguire la stessa strategia («lo sviluppo ad ogni costo») investendo nelle infrastrutture di uno sviluppo moderno in Africa e in Asia – ma così facendo, arriva a pestare i piedi alla potenza occidentale aumentando la tensione sistemica;

. nel frattempo, l’America esita tra tre strategie: reinstradare i flussi di importazione (Obama), ricostruire l’autosufficienza (Trump) e bloccare l’ascesa della Cina (Biden). In questo tentennamento sta chiaramente perdendo tempo prezioso.

Le sofferenze economiche della separazione della Cina in forma di divorzio

L’America sta perdendo tempo prezioso portando i propri «alleati» ad un doloroso caos strategico.

Per quanto riguarda l’UE, se la crisi NATO-Russia del 2014 ha causato pesanti perdite all’economia europea[2], che dire delle sanzioni contro le imprese strategiche cinesi? Come abbiamo visto, l’Europa:

. si ritrova con una carenza di semiconduttori al momento di lanciare il progetto di digitalizzazione[3];
. rischia di vedere il Parlamento rifiutare[4] l’accordo globale sugli investimenti UE-Cina negoziato in posizione di forza ottenendo tutte le garanzie auspicate[5] da una Cina attenta a non scontrarsi con l’Europa in vista della transizione democratica americana (questo accordo serve in particolare ad agevolare l’accesso degli investitori europei alla Cina equilibrando la bilancia di investimenti UE-Cina[6]);

. potrebbe vedere i trasferimenti di tecnologia interrompersi per via delle tensioni nazionaliste[7] (dopo essersi fatta depredare dagli Stati Uniti e dalla Cina per trent’anni)

.  rischia di vedere rallentato il programma di energie rinnovabili se non può più mettere le mani sui pannelli solari cinesi, sulle terre rare e sui componenti elettronici dell’energia eolica[8];

. ecc.

Per quanto riguarda i paesi emergenti e in via di sviluppo, le sanzioni americane contro la Cina rappresentano una pessima notizia. Da dieci anni questi paesi avviano percorsi di sviluppo che devono molto alla Cina direttamente (tanto per gli investimenti quanto per il nuovo approccio allo sviluppo da essa proposto[9]) e ai vari sponsor che bussano alla loro porta (quindi alla Cina indirettamente).

Figura 2 – Evoluzione del commercio cinese da vent’anni. Fonte: IHS Markit, 2020

Se è innegabile che il pianeta deve imparare a disintossicarsi dalla dipendenza dalla Cina, è solo collaborando con la Cina che ci riuscirà. A titolo di esempio, uno studio americano ha stimato a un trilione di dollari il costo per l’economia americana di una drastica separazione economica tra i due paesi[10]. L’America può permetterselo?…

I pericoli dell’accecamento occidentale

Gli occidentali capiscono bene che la Cina sta passando dallo status di “fabbrica” a quello di potenza che minaccia la loro; ma mancano di vigilanza sull’attrattiva del modello cinese agli occhi di una parte crescente del pianeta.

Di certo l’immagine della Cina soffre della macchina da guerra mediatica occidentale acceleratasi a partire dal 2018[11], come testimoniano i sondaggi Pew Research[12]. Guardando però più da vicino, questa immagine negativa è inoltre dovuta al fatto che l’opinione pubblica vede ormai la Cina come la maggiore potenza del mondo… davanti agli Stati Uniti.

Il discorso anti-cinese costituisce un’altra causa di distacco tra governi pragmatici che rischiano di rendersi conto sempre di più che non possono permettersi di separarsi dalla Cina da un lato con le loro opinioni stimolate dai media e dai rappresentanti dall’altro. Ciò minaccia molto seriamente sia la pace sia la democrazia. Che semina vento raccoglie tempesta…. Speriamo che è ancora possibile razionalizzare questo dibattito…

La Cina fa da modello

Per chi si sforza di osservare direttamente la Cina, ad essere vista è una macchina che funziona in “modalità-progetto”[13], con una visione strategica ultraefficace, che tiene conto delle realtà globali, prendendo e mettendo in atto le decisioni, di successo economico, che gestisce il cambiamento, modernizzata, inventando nuovi modelli, con una capacità di finanziamento…

Piani quinquennali[14], principi di leadership[15], MIC 2025[16], Visione 2035[17], mega cluster urbani[18], programma ambientale 2060[19], livello di istruzione della popolazione[20], riduzione della povertà[21], creazione di piazze finanziarie[22], lancio di assi di sviluppo (OBOR)[23], apertura della più grande zona di libero scambio al mondo (RCEP)[24], creazione di banche multilaterali[25], infrastrutture elettriche globali[26], rigorosa applicazione delle leggi antimonopolistiche[27]… rispetto all’Occidente, che fa fatica a prendere qualsiasi decisione, la Cina appare sempre di più come l’attore più affidabile. E questa affidabilità è ciò di cui oggi il mondo ha bisogno.

Un paese «socialista» alla cinese: lontano dai nostri occhi, il Partito Comunista Cinese ha appena lanciato il 14° piano quinquennale per il periodo 2021-2025. Si tratta di costruire uno «stato di diritto socialista dalle caratteristiche cinesi moderno a tutti gli effetti» per uno sviluppo completo nel 2035[28]. La Cina vuole ormai fare da modello[29]. E se l’Occidente non mette tutte le proprie energie a ripensare al proprio anziché criticare quello degli altri, vanno anticipati cocenti fallimenti.

Di fronte alla dialettica «democrazia vs. totalitarismo», la Cina vorrebbe rispondere con «capitalismo vs. socialismo». Così facendo, essa si mette decisamente dalla parte dei popoli contro i ricchi, cosa in cui è credibile, ricordando di aver fatto uscire centinaia di milioni di persone dalla povertà in quarant’anni[30] e che il progetto di sviluppo umano supera le frontiere (Vie della Seta[31], finanziamento di infrastrutture nei paesi terzi[32],…), per non parlare del ruolo svolto dalla Cina nelle campagne di vaccinazione dei paesi in via di sviluppo[33] dove il programma  Covax dell’OMS sembra si stia esaurendo[34]. Combinando i termini “modernità” e “socialismo”, la Cina contribuirà probabilmente a far riprendere una sinistra schernita o fuorviata nel momento stesso in cui le disparità sociali sono ulteriormente aumentate sotto l’effetto economico della pandemia. Tanto da preoccupare europei e americani…

E perfino una «democrazia» entro il 2025: Xi Jinping ha ricordato che essa ormai si considera una democrazia che in inglese chiama whole-process democracy dove ogni decisione legislativa è risultato di processi deliberativi che assicurano che le decisioni prese sono sane e democratiche[35]. Sostenendo che la democrazia non è completa se il popolo ha solo diritto di voto senza il diritto ad una partecipazione ampia, la Cina si pone come attore democratico a tutti gli effetti aprendo il dibattito sui futuri modelli anche in questo contesto.

Anche qui gli occidentali farebbero bene a non prendere troppo alla leggera questo posizionamento della Cina tanto lontano dall’immagine rassicurante che hanno di essa (la “Cina totalitaria” non potrebbe minacciare il “mondo libero”). Anche il vasto mondo dei paesi emergenti e in via di sviluppo getta uno sguardo distaccato ai risultati concreti dei due modelli “democratici” concorrenti… e quello che vedono applicando semplici criteri di pace, ordine e prosperità non è a nostro favore[36]… Ricordiamo che non saremmo molto convincenti nell’associare democrazia ad inefficacia, paralisi politica e malcontento popolare[37].

Stiamo inoltre assistendo ad un’importante sfida per l’Occidente nell’attuale contesto dottrinale anticinese: c’è il grosso rischio che il riconoscimento degli occidentali dei successi cinesi in assenza di democrazia alimenti un progetto di eliminazione di questo vincolo in Occidente per poter restare competitivo (attualmente in atto d’altronde).[38] Senza contare che le tensioni geopolitiche non sono mai una buona cosa per le libertà e la democrazia …

Il nostro team ha invece ritenuto più sensato partire dalla tesi che la democrazia è in crisi da ogni parte del mondo ed è con lo scambio di esperienze e il dibattito che troveremo, ciascuno secondo i propri vincoli culturali e storici, le piste di reinvenzione. È così che continueremo ad osservare i progressi compiuti in materia di riforma della democrazia americana, europea e cinese entro il 2024-2025. Il 2024 sarà infatti l’anno delle elezioni sia americane che europee, e il 2025 è l’orizzonte temporale che si è prefissata la Cina per sviluppare il proprio “stato di diritto socialista” e democratico. Le tre potenze si danno come obiettivo quello di riformare i propri modelli imperfetti[39]. Chi ci riuscirà?…

America-Cina: quante divisioni?

Se a prima vista il campo cinese appare etico, non dimentichiamo che da solo rappresenta 1,5 miliardi.

In Occidente, mettendo insieme Stati Uniti, UE, Giappone e Canada si arriva appena a un miliardo… Si capisce meglio l’interesse incondizionato dell’America all’India con i suoi 1,2 miliardi di individui… Ma se l’India e la Cina sono nemici atavici, sono anche vicini, e il nazionalista Modi non è disposto a perdere l’indipendenza che la sua collaborazione con i due campi conferisce al paese[40]. Lo stesso naturalmente dicasi per l’Africa che attualmente gioca su più tavoli e ne esce piuttosto bene.

È d’altronde essenziale comprendere che la Cina sta inventando il proprio campo. Come mostra la politica spaziale, gli alleati in materia saranno i paesi a cui essa aiuterà ad accedere allo spazio (Africa, Argentina)[41]. Questo metodo verrà certamente applicato a molti altri ambiti. È anche per questo che la Cina ha un interesse strategico per lo sviluppo economico mondiale: sta creando un vivaio di alleati. Mossa vincente!

Occorre inoltre tenere bene a mente una psicologia collettiva che va contro l’America-Occidente: per i paesi emergenti o in via di sviluppo la Cina è quello che ha avuto successo. Per i paesi arabi, africani, asiatici, ecc., la Cina rappresenta un’enorme speranza. Essa è la prima testimonianza vivente che è possibile non essere occidentale e riuscire[42] e propone a questi paesi di aiutarli a fare come lei: lavorare sodo per vent’anni e godere di benefici.

Per quanto riguarda l’Africa, da tempo pensiamo che il suo sviluppo andrà di pari passo, come per tutte le potenze emergenti, con un “rinascimento” consistente nel crearsi un corpus proprio mitico-storico che, nel caso particolare del continente nero, passerà dal massiccio e forse violento rifiuto della parte europea della sua storia[43]. Il movimento americano «black-lives matter», che ha attraversato in ordine sparso l’Atlantico per venire a porsi nella mente degli africani d’Africa e d’Europa, ci sembra tra l’altro in grado di sollevare un vespaio. Se con questa oscura anticipazione ci vediamo giusto, non è una buona notizia per l’America, che vuole portare l’Africa nel proprio campo tramite l’alleato europeo.

Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, le EAU, ecc., abbiamo già visto che stanno firmano accordi da tutte le parti con la Cina. Aramco ha appena posto la sicurezza energetica cinese in cima alle priorità[44]. I ministri degli affari esteri cinesi e sauditi hanno appena recentemente discusso del rafforzamento delle relazioni bilaterali[45]. Secondo alcuni le EAU sono passati dalla parte della Cina[46].

Notiamo tra l’altro che i paesi musulmani hanno scelto di non intervenire nella questione uigura [47]… a cominciare dalle nazioni vicine a Xinjiang che sono il Kirghizistan e il Tagikistan[48]… probabilmente perché lo preferiscono all’ondata di terrorismo e alla guerra di indipendenza nel 2015[49] alle loro frontiere.

Il peso del debito sulle economie emergenti e in via di sviluppo

Se la pandemia ha danneggiato l’immagine della Cina come paese all’origine del problema, la gestione della crisi ha però giocato a sfavore dell’Occidente. Ma non è tutto: i grandi piani di rilancio e politico-monetari non convenzionali che europei e americani hanno potuto fornire non tarderanno a incidere pesantemente sulle economie più fragili, pur essendo state inizialmente meno colpite dalla crisi (cf figura seguente).

Figura 3 – Impatto della pandemia sulle varie economie. Fonte: FMI / FT

L’inflazione che questi piani cominceranno a indurre si propaga dapprima ai mercati azionari e poi ai paesi in via di sviluppo prima di raggiungere le società all’origine del problema. Il Brasile, ad esempio, ha registrato a marzo un’inflazione pari al 6,1% mentre la Banca Centrale si era prefissata un tetto del 5,25% e dovrà sicuramente far risalire i tassi di riferimento pregiudicando di fatto le prospettive di rilancio economico e aumentando il peso del debito sul paese già in gravi difficoltà[50]. È interessante fare l’esempio di questo paese che nel 2009 ha puntato sui BRICS prima di ritrovarsi tra le grinfie dei governi pro-americani (Temer prima e Bolsonaro poi). Malgrado questi ultimi, il Brasile non ha potuto distaccarsi dalla Cina da cui dipendono le esportazioni agricole[51]. Oggi, il migliore amico di Bolsonaro, Trump, non è più la Casa Bianca[52] e la Cina è rimasta un partner imprescindibile… Se i brasiliani stabilissero un legame tra la loro inflazione e i faraonici piani americanocentrici, il paese potrebbe non tardare a rilanciare le dinamiche BRICS… o sotto la guida di un governo Lula nel 2022 o sotto quella dello stesso Bolsonaro[53].

Oltre al Brasile, pensiamo che gli shock che i piani di salvataggio occidentali provocheranno sui paesi emergenti e in via di sviluppo faranno somigliare questi ultimi alle tre grandi economie che sembrerà essere la più stabile…

Un campo occidentale molto più diviso di quanto sembri

Quest’ultimo esempio mostra che i paesi che l’America è riuscita a radunare negli ultimi anni sono ben lungi dall’essere acquisiti. Ma non è tutto: il campo che Biden sta riunendo attualmente e che gli permette di adeguare gli strumenti del PIL (USA + UE + GIA + CA + NZ = 47 trilioni di dollari vs CN + RU = USD 16 trilioni di dollari), di notorietà, di budget militare (ad ovest quasi un trilione di dollari senza contare l’Arabia Saudita… e ad est 300 miliardi di dollari), ecc, in realtà è molto diviso[54].

 

Figura 4 – Spese militari per paese. Fonte: Wikipedia, 2019

 

Questo campo, detto “delle democrazie”, mentre come è noto a tutti queste democrazie sono in crisi, che sembra non riuscire a produrre nient’altro che divisioni, fa già fatica a prendere decisioni dall’interno. Che dire allora della capacità di prendere decisioni all’esterno?

L’UE è un esempio dei limiti ormai raggiunti dal modello di co-governance inventato nel periodo 1952-1992. Nelle ultime settimane si è parlato molto dello SCAF (Sistema di combattimento aereo del futuro[55]) che è arrivato ad illustrare la complessità della cooperazione internazionale. Il progetto nasce faticosamente da una crisi esistenziale derivata dai cavilli franco-tedeschi tra Dassault e Airbus e rivelando profondi ripiegamenti nazionalisti in materia di tecnologie all’avanguardia e di segreto militare. Il fatto che Airbus, simbolo dei successi della cooperazione intra-europea negli anni ’70-’80, partecipi a questa crisi è piuttosto sconvolgente[56]. Il problema è che nel mondo ultra-conflittuale inaugurato dalla guerra USA-Cina nessuno si fida di nessuno, che non è una buona cosa per la trasparenza, la cooperazione e un’ampia prospettiva.

Alcuni covano probabilmente la speranza che il ritorno dell’America ridarà potere agli occidentali. In realtà, il gatto scottato teme l’acqua fredda: gli europei, sotto il controllo dei sostenitori di Biden, non hanno smesso di nutrire una sempre maggiore diffidenza nei confronti dell’America almeno dal 2003 e dalla guerra in Iraq; e Trump ha fornito un pretesto ideale per cominciare a tradurre questa sfiducia in strategia. Attualmente, gli alleati vogliono fare fronte comune per aumentare la loro competitività di fronte ai cinesi ma nessun paese è disposto a lasciare la propria sovranità ad un’America già abbastanza invasiva. Non dimentichiamo che il Giappone di Shinzo Abe[57] ha fatto di tutto per riformare la propria costituzione allo scopo di recuperare la propria autonomia strategica – sicuramente invano ma non è il genere di progetto che si abbandona alla leggera. Gli europei sono da sempre nella stessa ottica di costruzione di una difesa europea all’interno o all’esterno della NATO…

In realtà gli alleati di Biden si rivolgono a lui solo nella speranza di ottenere la libertà in cambio del loro sostegno…

E in Europa?

Se l’Europa cominciasse ad anticipare che le ex colonie rischiano di allontanarsi da essa a vantaggio della Cina, se osservasse che il famoso campo alleato punta i piedi, se constatasse che la strategia americana bada solo ai propri interessi nazionali a discapito di quelli dei partner, e soprattutto se l’unico progetto di alleanza si rivelasse essere il containment di una Cina di cui ha urgentemente bisogno,… forse sarà l’ultima a lasciare la nave ma finirà per farlo anch’essa.

Il test di perenne adesione all’America potrebbe essere fornito dal famigerato progetto di tassazione delle multinazionali appena annunciato da Biden, come se l’idea fosse stata sua[58]. Dopo aver usato il bastone, portando gli alleati ad un progetto di confronto con la Cina – non senza prima annullato il ritorno delle truppe USA in Germania, il progetto di tassazione è la carota agitata sotto il naso degli europei che ci lavorano da quasi due anni e vedrebbero probabilmente di buon occhio che gli Stati Uniti si unissero a loro. Se però gli europei si accorgessero che gli Stati Uniti non sono capaci di far adottare le decisioni del Congresso, non ci metterebbero molto a mollare tutto.

Una tappa importante sulla via verso il riposizionamento europeo in relazione al conflitto USA-Cina saranno le elezioni tedesche di settembre. Negli ultimi anni, infatti, è la Germania della Merkel ad aver mantenuto a tutti i costi i legami con l’est (NordStream II e accordo sugli investimenti UE-Cina). Al termine dello scrutinio si prevede però un governo verde profondamente anti-russo e anti-cinese[59]. Se così fosse, l’UE rischierebbe davvero di sprofondare ancor più nel proprio atlantismo atavico… a meno che i paesi che attualmente si nascondono dietro la Germania non alzino la testa… E i Verdi non abbiano la meglio sul governo a settembre.

Se gli stessi Stati Uniti non riuscissero a calmare le acque insieme alla Cina, va anticipato che prossimamente l’Europa verrà seriamente presa di mira come diretta conseguenza di questo confronto da cui farà maggior fatica a districarsi.

Dalla trappola del confronto alla fine dell’UE

È probabile che tra i leader occidentali siano in molti ad essere consapevoli del rischio che questo inutile confronto fa correre all’Occidente. Dopotutto, la Germania della Merkel ha fatto tutto quanto era in suo poter per chiudere il negoziato dell’accordo USA-Cina sugli investimenti prima dell’arrivo di Biden, anticipando l’inevitabile trappola transatlantica che avrebbe circondato l’Unione[60].

Lo stesso Biden è forse invischiato nella retorica anti-cinese[61] che il partito democratico ha contribuito ad alimentare durante i quattro anni del mandato di Trump (che è stato continuamente accusato di essere pro-russo, pro-cinese, traditore della patria[62]…). Adesso che l’opinione pubblica, il Congresso e la stampa sono agitati, come fare per riprendere il filo di una politica estera razionale costruttrice di un futuro e di pace?

L’UE, che non è sistematicamente rivale della Cina, è forse in grado di calmare le acque. Sembra però che l’elezione di Biden le abbia reso le cose difficili squilibrando nuovamente il posizionamento globale dell’Unione verso un asse transatlantico sotto la leadership di Washington.

Per tutte le ragioni esposte in questo articolo pensiamo però che massimo entro il 2025, se gli Stati Uniti hanno persistito nel portare l’Europa al confronto, sarà l’Unione ad andare in frantumi. Nel 2016[63] avevamo già anticipato che l’UE non sarebbe resistita alla crisi della relazione transatlantica – di crollo (Trump) o di eccesso (Biden).

La prospettiva di una disgregazione dell’UE la cui configurazione impedirebbe agli Stati membri di accostarsi alle dinamiche economiche provenienti dall’est si sta profilando. Gli olandesi e gli spagnoli hanno d’altronde reclamato l’annullamento delle norme decisionali all’unanimità[64]. La Commissione europea, il Consiglio europeo… da tempo sono tutti d’accordo con questa richiesta. L’UE dispone però di un sistema politico in grado di ottenere tali riforme? Può ancora aspettare che la Conferenza sul futuro dell’Europa permetta (forse) di far emergere partiti politici transeuropei che riusciranno (forse) a ottenere seggi sufficienti alle legislative del 2024 arrivando (forse) a lanciare dei referendum ai quali i cittadini europei saranno (forse) in grado di rispondere in modo chiaro? Oppure gli Stati Uniti decideranno di abbandonare in massa la nave per siglare un nuovo contratto sociale?

Il cambiamento geopolitico della Cina obbliga a pensare grandissime trasformazioni della struttura decisionale europea se quest’ultima volesse imporre una terza via che eviterà al mondo di dover scegliere se essere americano o cinese.

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[1]      Fonte: WallStreetJournal, 06/01/2021

[2]      Fonte: Vienna Institute for International Economic Studies, 20/02/2019

[3]      Fonte: ‘Guerra dei chip: USA, Cina e la battaglia per la supremazia dei semiconduttori, TRTWorld, 16/03/2021

[4]      Fonte: China Briefing, 26/03/2021

[5]      Fonte: Commissione europea, 30/12/2020

[6]      Si comprendono quindi i danni delle posizioni ideologiche delle strutture intermedie (media, parlamenti) sugli interessi degli europei. Fonte: Merics, 17/04/2018

[7]      Trasferimenti che l’accordo globale sugli investimenti permetterebbe di rilanciare… Fonte: NatLawReview, 14/01/2021

[8]      Fonte: Euractiv, 05/10/2020

[9]      Fonte: Come la Cina sta riformando lo sviluppo internazionale, Carnegie Endowment, 08/01/2020

[10]     Fonte: CNBC, 18/02/2021

[11]     È interessante leggere l’anticipazione del The Diplomat nel 2010 (rivista che pubblica tuttora articoli neutrali sull’argomento, una certa diplomazia…). Fonte: The Diplomat, 05/10/2010

[12]     Fonte: PewResearch, 06/10/2020

[13]     Sotto molti aspetti, la Cina viene gestita come un’impresa.

[14]     Fonte: SouthChinaMorningPost, 25/05/2020

[15]     Fonte: IEDP, 01/07/2018

[16]     Fonte: China Briefing, 28/12/2018

[17]     Fonte: GlobalTimes, 29/10/2020

[18]     Fonte: ChinaBriefing, 25/10/2018

[19]     Fonte: BBC, 22/09/2020

[20]     Fonte: CSIS

[21]     Fonte: AA, 05/12/2020

[22]     Fonte: Shine, 26/09/2020

[23]     Fonte: OCDE, 2018

[24]     Fonte: Nikkei, 05/01/2021

[25]     Fonte: NUPI, 08/2018

[26]     Fonte: IEEESpectrum, 21/02/2019

[27]     Ottima analisi della sanzione di Pechino ad Alibaba. Fonte: SouthChinaMorningPost, 11/04/2021

[28]     Fonte: XinhuaNet, 11/03/2021

[29]     Fonte: CGTN, 13/05/2020

[30]     Fonte: BBC, 28/02/2021

[31]     Fonti: OECD, 2018; Consiglio per le relazioni estere, 28/01/2020

[32]     Ad esempio in Africa attraverso l’AIIB (Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture): AIIB, 28/06/2020; ma anche in Sudamerica: CEPAL/UN, 2020.

[33]     Fonte: Deutsche Welle, 05/02/2021

[34]     Fonte: BBC, 09/04/2021… sui miti e sulle realtà del vaccino nella guerra tra occidentali e cinesi in piena pandemia è però difficile vederci chiaro (cf Financial Times, 24/03/2021). Si legge proprio di tutto e il contrario di tutto.

[35]     Fonte: CCTV/Xinhua, 09/03/2021

[36]     Avevamo già visto che altri paesi che cercano di democratizzarsi ma temono più di tutto il modello occidentale guardano con attenzione alla Cina, come ad esempio l’Arabia Saudita. Fonte: Hoover Institution, 22/04/219

[37]     Il modello cinese sembra vedere il PCC come una sorta di amministrazione che mette in atto le decisioni legislative prese seguendo i principi di whole-process democracy fondati sulla consultazione e sulla ricerca del consenso tramite delibera… il che assomiglia in realtà a quello che l’Europa in particolare sta mettendo gradualmente in atto: tecnocrati con funzioni esecutive in risposta all’ipercomplessità (Draghi, Macron, ecc… se non «populisti») ed esperimenti di vari processi di consultazione affinché i cittadini si riconoscano nelle decisioni. Il successo verrà dalla capacità o meno delle assemblee legislative ad articolarsi ai processi di consultazione dei cittadini…

[38]     Come dimostra, ad esempio, questo articolo sulla libertà di espressione. Fonte: Time, 24/01/2020

[39]     Stati Uniti (fonte: Centre for American Progress, 10/02/2021); UE (fonte: Parlamento europeo, 26/11/2020); Cina (fonte: Xinhuanet, 11/03/2021)

[40]     Fonte: MoneyControl, 20/03/2021

[41]     Cf articolo sull’argomento nel presente numero.

[42]     Perfino il successo del Giappone di quarant’anni fa ha rappresentato un trofeo da collezione occidentale poiché riuscendo il paese si è unito al campo occidentale.

[43]     Un buon esempio tra altri. Fonte: The Guardian, 12/11/2017

[44]     Fonte: Reuters, 21/03/2021

[45]     Fonte: China.org, 25/03/2021

[46]     Fonte: MiddleEastEye, 01/10/2020

[47]     Fonti: The Guardian, 04/07/2020; SouthChinaMorningPost, 06/04/2021

[48]     Fonte: RFERL, 22/09/2020

[49]     È interessante notare come il problema del terrorismo uiguro sia stato trattato dalla Commissione USA-Cina del Congresso americano nel 2016. Fonte: USCC.gov, 06/2026

[50]     Fonte: MacauBusiness, 10/04/2021

[51]     Source : CLBrief, 12/06/2020

[52]     Non a caso è con Putin che Bolsonaro sembra intrattenere buoni rapporti. Fonte: MercoPress, 16/06/2020

[53]     … il cui ministro degli Affari Esteri, notoriamente cinese, ha appena dato le dimissioni. Fonte: The Guardian, 29/03/2021

[54]     Fonte: WallStreetJournal, 01/03/2021

[55]     Fonte: Wikipedia

[56]     Fonte: DefenceWorld, 03/04/2021

[57]     Fonte: Texas National Security Review, 05/2018

[58]     Un buon articolo sulla questione. Fonte: Vox, 13/04/2021

[59]     Fonte: The Times, 06/01/2021

[60]     Fonte: Politico, 29/12/2020

[61]     Almeno quanto suggerito dal rispettabilissimo Nikkei Asia. Fonte: NikkeiAsia, 10/04/2021

[62]     Fonte: AP, 04/10/2019

[63]     Fonte: GEAB, 15/09/2016

[64]     Fonte: Euractiv, 25/03/2021

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