E se la decisione della Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht – BVerfG) del 5 maggio, invece di un sasso nello stagno, fosse la prima pietra dell’edificio politico e democratico dell’Euroland? È la prima reazione che abbiamo avuto mentre i media hanno sfornato articoli uno più catastrofico dell’altro sulle ripercussioni sul futuro dell’euro, della BCE, della zona euro e perfino dell’Europa in generale. Bisogna ammettere che lo scenario è ben delineato, in piena crisi pandemica da Covid-19, un continente in lockdown, dove tutti i punti di riferimento europei sembrano essere stati efficacemente cancellati da un cattivo vento di ripiegamento su se stesso (chiusura delle frontiere, sospensione dei viaggi, ostracismo…) e desolidarizzazione (crisi dei coronabond, apparente rifiuto di mutualizzazione del muro del debito degli stati, corsa al vaccino…).
La Corte tedesca si basa sul principio di democrazia e di sovranità popolare per fondare il proprio giudizio, dissecare il processo europeo che nel 2015 ha portato la BCE a lanciare un proprio programma di acquisto di titoli di stato, che non rientrerebbe tra le sue competenze, e quindi anti-democratico, e rimandare la sentenza della CGUE, pur avendola adita sotto domanda di pronuncia pregiudiziale[1]–[2]. In questa decisione due attacchi quindi, uno che rimette in discussione la governance della zona euro e il ruolo dell’onnipotente Banca Centrale, l’altro che mette in discussione il grado di supremazia del diritto europeo su quello degli stati nazionali[3].
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