In questa piccola rubrica affrontiamo sotto forma di brevi avvisi i rischi che non possiamo sviluppare per via della dimensione del nostro numero ma contro i quali vorremmo mettere in guardia i nostri lettori.
Ancora e sempre la Siria
Per un po’ di tempo il campo americano è apparso essere sotto controllo, dando il via libera al campo russo per calmare le acque. Oggi si è ricomposto, ormai circondato dai paesi di cui ha già rappresentato gli interessi. Adesso si rivelano tutti i grandi cripto-attori della guerra in Siria: da un lato, Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e Kurdistan, e dall’altro Russia, Iran, Turchia e Palestina. Con il pretesto di una guerra comune contro l’ISIS, i nemici si ritrovano sugli stessi terreni, in particolare intorno ai pozzi di petrolio (ISIS, legittimisti, americani, russi, ecc.). Israele non si arrenderà, rifiutandosi senza condizioni di vedere un regime favorevole all’Iran completare il corridoio sciita Iran-Mar Mediterraneo al confine a nord; senza contare che una guerra aperta permetterà a Israele di esaudire il sogno di sbarazzarsi delle popolazioni palestinesi della Cisgiordania, le guerre sono occasioni perfette per innescare spostamenti di popolazioni, come è noto a tutti. La Turchia (così come l’Iraq e la Siria) non accetterà la creazione di uno Stato petrolifero curdo sotto il controllo USA. Le posizioni non sembrano essere conciliabili. Il terreno crea ormai le condizioni di scontri diretti tra russi e americani, israeliani e iraniani… la Turchia e gli Stati Uniti (ufficialmente ancora alleati alla NATO) sono sull’orlo del baratro. I rischi di conflagrazione sono altissimi[1], creando, speriamo, quella volontà di cambiamento necessaria per porre le basi del «Nuovo Medio Oriente»[2] il cui potenziale, d’altronde, è sempre più visibile. Oggi però è legittimo dubitare che queste basi possano porsi su qualcosa di diverso di un terreno di macerie già ben radicato: il Medio Oriente è in guerra, e non è cosa recente; solo l’assenza di copertura mediatica di questa guerra spaventosa permette di non prenderne atto.
Ma anche il Mar Rosso
Intorno al mar Rosso continua a salire la meno nota tensione nell’ambito di quella che viene chiamata «guerra degli stretti» di cui lo Yemen è la vittima più evidente. Questa guerra degli stretti è legata all’esigenza, apparentemente incondizionata, di controllo del passaggio dal Mar Rosso dell’Arabia Saudita.
Figura 1 – Mappa del Medio Oriente
Allo Yemen questo controllo viene conteso dalla presenza del 45% di sciiti pro-Iran… da qui la guerra. Sull’altra sponda dello stretto sud del Mar Rosso, Bab el-Mandib, c’è però Djibouti, dove nell’agosto 2017 la Cina ha inaugurato la prima base militare della regione[3]. Oggi però le relazioni sino-djiboutiane sembrano essere peggiorate, portando la Cina a moltiplicare le proprie mire verso l’Egitto, lo Yemen e l’Oman… Il fatto è che la «faida» saudo-iraniana nello Yemen o le azioni intempestive degli europei in Libia hanno ogni volta conseguenze sugli interessi cinesi, giustificando la volontà di dotarsi dei mezzi militari per preservare questi interessi. Sempre intorno al Mar Rosso, il Sudan e i suoi porti sono già stati oggetto di conflitti in particolare tra Stati Uniti e Cina, conflitti che hanno portato a una divisione tra nord e sud del Sudan che non risolve granché[4]. In Sudan si affrontano inoltre interessi cinesi e giapponesi. La sponda nord del passaggio dal Mar Rosso è, in compenso, sotto il totale controllo saudita, il presidente egiziano al-Sissi è un uomo fedele all’Arabia Saudita. Gli emirati sono anche attori della regione, dagli interessi ben distinti da quelli dei sauditi. Hanno basi in Eritrea e Somalia, ma anche nello Yemen fin dall’alleanza di convenienza contro gli Huthi. Anche gli europei sono presenti. Questo breve avviso non ha la pretesa di fornire la lista degli interessi nazionali che si affacciano intorno al canale di Suez, al Mar Rosso e allo stretto di Bab el-Mandib. Una cosa è certa: in un mondo in cui gli interessi delle potenze del mondo multipolare non sono in sintonia, i luoghi strategici come il passaggio dal Mar Rosso sono perfetti punti di esplosione di conflitti transcontinentali. Questa regione, in particolare, presenta la caratteristica di trovarsi in mezzo a uno spazio geopolitico vuoto: tra continenti diversi non c’è organismo sovranazionale adatto a riunire i potenziali belligeranti intorno allo stesso tavolo. Avvertenza quindi su questa regione del mondo.
L’America meridionale è sull’orlo del precipizio
Il calendario elettorale sud-americano di quest’anno è strapieno. La tendenza al cambiamento a destra è dominante. Esistono tuttavia legami non meno importanti di resistenza dello spirito boliviani: il Venezuela tiene duro e ad essa potrebbe prossimamente aggiungersi il Messico. Destra o sinistra, sono regimi politici duri e nazionalisti che si instaurano ovunque. La sconfortante corruzione, associata alla crisi dei prezzi del petrolio che sta infliggendo il sub-continente americano, nonché l’emergere di nuove generazioni le cui ambizioni molto diverse da quelle dei loro antenati, creano assi di polarizzazione in tutta la regione. La follia delle forze economiche che hanno creduto che solo l’armonizzazione della destra dell’America meridionale potesse permetterne l’integrazione, sta degenerando: i governi di sinistra traballano con accuse di corruzione per essere sostituiti da governi di destra ancora più corrotti, portando alla comparsa di populisti essenzialmente di destra ma anche di sinistra a tendenza nazionalista. Se l’eliminazione di Lula alle prossime elezioni spiana la strada all’elezione dell’ultranazionalista Bolsonaro (di cui seguiamo attentamente il percorso da quasi un anno) alla guida del Brasile, appariranno inevitabilmente conflitti di frontiera con il Venezuela in grado di degenerare. Le rivendicazioni territoriali del sub-continentali sono numerose. Forse gli americani aspettano solo questo per riportare con la forza l’ordine nella regione… ma ne hanno veramente i mezzi? Se non li hanno, l’America meridionale potrebbe cominciare ad avere caratteristiche molto simili a quelle dell’America negli anni ’30… Il mondo di dopo riserva delle sorprese di cui l’America Latina potrebbe far parte… un’America Latina che ha inoltre la caratteristica di essere una delle regioni del mondo più difficili da comprendere: sotto un’apparenza di semplicità, l’assenza di media comuni rende estranee le sue evoluzioni.
I BRICS affondano nelle sabbie mobili
Le recenti dimissioni del presidente sudafricano, Jacob Zuma[5], sono strettamente legate ad una crisi sociale, politica, istituzionale e di modernità. Ma anche con la scelta di unirsi ai BRICS[6]. Il suo sostituto, Cyril Ramaphosa, potrebbe mostrare molto meno entusiasmo alla partecipazione dell’Africa meridionale agli organismi e ai programmi BRICS. Non anticipiamo un’uscita dell’Africa meridionale[7]; per bloccare le dinamiche BRICS, è molto più efficace mantenere paesi poco motivati: tra Brasile, India e adesso Africa meridionale, i BRICS sono in un mare di guai… E non è una notizia affatto buona. Probabilmente assistiamo invece ad un tentativo di segmentare il mondo intorno a 3-4 poli e ai loro crocevia: la Cina cede l’America meridionale agli Stati Uniti, gli Stati Uniti cedono il sud-est asiatico alla Cina e l’Africa viene ceduta all’Europa. Questa configurazione, fondata su logiche territoriali di dominio, è terreno perfetto di conflitti che avrà un solo tempo… anche molto breve.
Ambiente: crisi di ridefinizione
Figura 2 – Domanda mondiale di vari materiali per realizzare le batterie di veicoli elettrici, 2015-2030. Fonte: The Globe and Mail.
In Occidente, secondo il nostro team, i programmi ambientali si apprestano a registrare gravi battute d’arresto. Ecco alcuni motivi che ci portano a questa anticipazione: il discredito dei movimenti ecologici legati alla posizione NIMBY (Not in My BackYard, “Non nel mio cortile”): dopo essersi battuti, ad esempio, per le fabbriche per lo smaltimento dei rifiuti, si battono affinché tali fabbriche non vengano installate nelle vicinanze; il ritiro americano del programma ambientale, anche se a medio termine è una buona notizia perché gli Stati Uniti sono un attore più inibitorio che volontario: tale ritiro mette in sospeso alcuni aspetti della realizzazione del calendario; messa in discussione dei principi fondamentali (il riscaldamento climatico è la giusta causa? Le energie rinnovabili sono una buona soluzione[8]? …); rimessa in discussione del futuro tutto elettrico in campo automobilistico: l’enorme bisogno di elettricità legato a questa strategia mette in dubbio l’effetto di protezione ambientale voluto; la crisi di liquidità relativa all’arresto dei QE e le difficoltà di investimenti in un mondo che si rifiuta di riscuotere le imposte porranno dei problemi agli investimenti nella transizione energetica e ambientale; la reindustrializzazione e la dislocazione dell’attività produttiva in Occidente non rischia di andare di pari passo con la decontaminazione del nostro ambiente; la parziale trasformazione dell’Europa in granaio della Cina[9] e il contemporaneo uso di un’agricoltura intensiva non avranno nulla di biologico; il probabile calo dei prezzi del gas e del petrolio porrà fine alla competitività delle altre energie; il passaggio dell’Europa e delle Americhe all’estrema destra porrà in secondo piano i progetti di protezione ambientale. È ad est che per un po’ si sposterà il programma ambientale, speriamo non troppo a lungo (2018-2025).
[1] In una settimana sono stati abbattuti un F-16 israeliano, un drone iraniano, un jet russo e un elicottero turco… fonte: Yahoo, 14/02/2018 e circa 200 mercenari russi sono stati uccisi dalle forze americane, fonte: Bloomberg, 13/02/2018
[2] A tal riguardo, si vedano i nostri articoli precedenti. Fonte: GEAB
[3] Fonte: Reuters, 01/08/2017
[4] Mentre la Cina intensifica gli aiuti al sud del Sudan, gli Stati Uniti rafforzano le sanzioni aggravando le tensioni. Esempio sulla restrizione delle armi. Fonte: VOAnews, 05/02/2018 ;
[5] Il presidente sud-africano Jacob Zuma si è dimesso «con effetto immediato» – Fonte: Le Monde, 14/02/2018
[6] Basta leggere questo articolo per convincersi che alcune forze del paese hanno digrignato i denti di fronte a questa scelta. Fonte: News24, 11/02/2018
[7] Sarà d’altronde ospite e organizzatrice del 10° vertice BRICS il luglio prossimo. Fonte: The South African, 29/01/2018
[8] Sull’argomento, l’uscita del libro di Guillaume Pitron dal titolo La guerre des métaux rares pone l’accento sulle distruzioni indotte sull’ambiente dall’economia delle nuove tecnologie e delle energie rinnovabili che dovrebbero contribuire a ridurre l’inquinamento. Il successo di questo libro non è un caso.
[9] Cf questo vecchio articolo «Il divorante appetito della Cina in Europa Orientale». Fonte: Sputnik, 07/12/2015, ma anche cifre come in Spagna: «A parte le infrastrutture, il settore immobiliare e i servizi ospedalieri, altri importanti settori comprendono prodotti agricoli, cibi e bevande, che, secondo il Rhodium Group, hanno ricevuto circa 525 milioni di euro. In contesto europeo, l’agricoltura in Spagna è un bersaglio relativamente importante per gli investitori cinesi.» – Fonte: Eurasia Review, 10/02/2018
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