La graduale scomparsa dei vari vincoli di stabilità del mondo di ieri (organizzazioni internazionali, trattati, alleanze, regolamentazioni…) è preoccupante. Questa paura farà da stimolo oppure finirà per essere cattiva consigliera?
Alla fine è qui il nocciolo della questione: certo, il sistema internazionale (finanziario, monetario, di governance, democratico, ecc.) va cambiato, ma nel processo di trasformazione, il mondo si trova ad un punto di svolta dove non può fare altro che chiudere gli occhi e saltare. Ma in questo balzo da un sistema all’altro è la fiducia a determinare il successo o meno dell’azione. Al minimo dubbio si fallisce.
Se non ci sbagliamo, il mondo è atterrato da un sistema all’altro tre anni fa, quando i britannici hanno chiesto di lasciare l’Unione e i nord-americani hanno eletto Donald Trump. Quanto al decollo, si può essere ancora più precisi: l’estate 2018 e le profonde rimesse in discussione dei principi dell’OMC da parte di Donald Trump costituiscono probabilmente la vera spinta sottobordo.
L’altro bordo si trova da qualche parte tra il 2019 e il 2020 a seconda dei venti.
In questo periodo di fondamentale rimessa in discussione del paradigma mondiale vediamo inevitabilmente sfilare sotto i piedi a grande velocità i precipizi e le montagne dei due mondi che urtano l’uno contro l’altro.
C’è naturalmente l’uscita russo-americana dal trattato sulle forze nucleari intermediari (FNI) che semina il panico ma è anche il risultato di una tacita collaborazione tra Trump e Putin: non dimentichiamo che è quest’ultimo ad aver rimesso per primo in discussione questo accordo che ha penalizzato i firmatari verso la Cina, e questo dal 2007[1]. Questa uscita mette gli europei di fronte alle loro responsabilità: non più muro di Berlino, non più scudo nucleare USA come protezione: è il momento di comportarsi da adulti ragionevoli.
Ci sono anche la pressione e le minacce di invasione del Venezuela da parte degli Stati Uniti per costringere Nicolas Maduro a lasciare il potere, che finiranno per non piacere ai russi. Il Venezuela è però la medaglia contro il Medio Oriente che Trump ha lasciato ai russi – incaricati di mettere d’accordo turchi e iraniani con i sauditi e gli israeliani per costruire la pace. Il terzo incontro del formato di Astana (Iran, Turchia, Russia) il giorno di San Valentino[2], seguito a ruota dall’incontro Putin-Netanyahu[3], va proprio in questa direzione, nonché le vere prospettive post-belliche in Siria che si stanno profilando[4].
In questa nuova configurazione, che segna il fallimento del tentativo di Trump di costruire la pace in Medio Oriente con l’Arabia Saudita, quest’ultima si ritrova in una situazione non più invidiabile di quella del nemico iraniano. Criticata da tutte le parti dall’Occidente (inclusi gli Stati Uniti tramite il Congresso[5]), l’Arabia Saudita perde il controllo, come testimoniano le recenti evoluzioni del tutto sorprendenti sul fronte della guerra nello Yemen. Il Marocco, infatti, ha appena creato un grande incidente diplomatico uscendo dalla coalizione saudita contro gli Huthi[6], incidente tanto significativo che il presidente dello Yemen, Adbrabbo Mansour Hadi, seppur rifugiato (o forse «agli arresti domiciliari») a Riyad, si è alleato al nuovo campo marocchino[7]. Tutto questo accade mentre le prospettive di pacificazione dello Yemen diventano più convincenti[8].
E poi c’è quella pace coreana che di fatto fa riprendere il controllo ai russi e ai cinesi[9].
Naturalmente c’è anche il negoziato cino-americano nel quale è solo questione di commercio, ma anche di principi di co-governance e di condivisione del mondo. Forse la storia inserirà questi negoziati nella categoria dei grandi trattati come quello di Tordesillas che ha diviso il mondo tra spagnoli e portoghesi nel 1494[10], o quello di Yalta che ha organizzato il mondo intorno ad americani e russi nel[11]. È noto naturalmente che questi grandi momenti possono non riuscire a gettare le buone fondamenta…
C’è poi tutto il processo di separazione UE-Regno Unito che ridefinisce completamente i nuovi principi di cooperazione degli Stati europei ma che riapre il campo ad un’Europa dove i suoi maggiori attori ritrovano un loro margine d’azione. A riprova di ciò, l’accordo INSTEX (che critichiamo più avanti) rappresenta ad ogni modo il passo verso l’emancipazione delle relazioni estere e della moneta europea ed è un passo avanti portato dal trio franco-germano-britannico (e sì!) A ulteriore riprova, l’Europa dell’energia, di cui parliamo in questo numero, collegata ai mercati dell’elettricità tedesco, austriaco, francese… e svizzero (bingo!) La clamorosa uscita (Regno Unito) o meno (Francia) dall’Unione in realtà rafforza l’Europa.
Ma questa nuova Europa combinerà le proprie differenze in complementarietà oppure ricreerà ben presto le condizioni per la ricomparsa dei vecchi demoni? L’incredibile crisi diplomatica italo-francese non è affatto di buon auspicio[12]. La speranza sono le elezioni europee del 2019, di cui più avanti diremo come saranno le elezioni più europee e democratiche della storia dell’Europa e in grado di collegare il progetto ai suoi cittadini… Con tutti i pericoli che questa connessione realizzata in piena crisi fa correre. «Non dubitare», anche qui: le elite europee si fideranno abbastanza dei cittadini dei cittadini (e viceversa)? Sapranno accettare ed accompagnare le decisioni del popolo europeo? Un popolo europeo che fa loro sempre più paura?
Gilet gialli in Francia, catalani in Spagna, ecc.: i popoli fanno vacillare governi che gestiscono le crisi che hanno ereditato dall’epoca precedente. Abbiamo spesso notato il paradosso del «tempo di percolazione» legato al divario tra l’insorgenza dei problemi, la loro percezione da parte dei cittadini e la traduzione in reazioni popolari. Ma queste collere incoraggiano forze che combinano i programmi rigidi dei «populisti» e quelli di sicurezza delle tecnocrazie e potrebbero spazzare via gli ultimi sostenitori di un’Europa delle libertà.
I problemi specifici del mondo di dopo cominciano inoltre ad apparire mentre quelli del mondo di prima non sono ancora stati risolti. Il miglior esempio è l’atto terroristico che si è appena compiuto alla frontiera indo-pakistana nel Cachemire[13], realizzazione pratica delle preoccupazioni che esprimiamo da almeno un anno[14] a proposito della leadership di Narendra Modi, il cui BJP e le varie milizie e fazioni di estrema destra non hanno smesso di perseguitare i musulmani. Attentato che permette tuttavia di stigmatizzare di nuovo i musulmani della regione. La comunità internazionale è naturalmente pronta a condannarlo mentre non è stata molto ascoltata su tutte le provocazioni e persecuzioni delle truppe del BJP in questi ultimi anni. Sicuramente Modi beneficerà di queste atto alle elezioni che per lui sono diventate sempre meno certe, tenendo conto del modesto bilancio del suo primo mandato. Considerando che un secondo mandato Modi potrebbe portare ad una catastrofe regionale interna per le minoranze ed esterna con rischi di una guerra indo-pakistana (due potenze nucleari, SVP…) o perfino indo-cinese (anche l’estrema destra indù è molto anti-cinese).
Non sono le dinamiche virtuose dei BRICS che potrebbero impedire questo genere di evoluzione, visto lo stato nel quale le lascia il feroce disprezzo con il quale europei e statunitensi hanno accolto tale iniziativa fin dall’inizio. Il nuovo ambito, molto più militarizzato, che lavora sulla pace regionale, è l’OCS. Certo, i suoi membri sono riusciti a fare salire a bordo India e Pakistan nel 2017, ma basterà?
Sul fronte finanziario, come spiegheremo nel dettaglio nel resto del numero, siamo veramente ad un passo da un enorme cambiamento, che anch’esso necessita della massima fiducia, come suggerisce il discorso di Christine Lagarde del 14 novembre scorso a Singapore: « Ho sentito dire: andiamo avanti. Io paura non ne ho. (pause) Non ne ho[15].»
E infine c’è il prossimo salto tecnologico che la 5G innescherà quest’anno[16]. Un salto che si tradurrà con una nuova tappa di trasformazione sociale, con vincitori e vinti reali.
«Ad occhi chiusi», abbiamo detto. È infatti così che questa transizione ha luogo: i grandi attori e la grande transizione sistemica globale operano a distanza crescente dai radar mediatici incapaci di comprendere o di riconoscere le evoluzioni titaniche in corso. Il nostro sistema mediatico occidentale ha perso il filo della propria missione, che non è quella di giudicare e di criticare ma di informare e spiegare le problematiche e le politiche complesse che affrontiamo le nostre società e i relativi leader. In Francia, in ogni caso, il minore talk-show politico è diventato uno spasso tra i parigini collegati. Eppure non c’è niente di divertente in quello che la società umana sta attualmente attraversando, né nel lavoro che i leader stanno facendo per condurre la corrente in movimento della storia verso rive più pacifiche.
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[1] Fonte: The Guardian, 12/10/2007
[2] Fonte: Daily Sabah, 14/02/2019
[3] Fonte: Haaretz, 05/02/2019
[4] Fonte: Haaretz, 14/02/2019
[5] Fonte: Mother Jones, 13/02/2019
[6] Fonte: AlJazeera, 08/02/2019
[8] Fonte: Irish Times, 03/02/2019
[9] Fonte: Charlotte Observer, 14/02/2019
[12] Fonte: Quartz, 12/02/2019
[13] Fonte: The Economic Times of India, 15/02/2019
[14] Fonte: GEAB n°124, 15/04/2018
[16] Fonte: Business Insider, 17/01/2019
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