A priori l’Europa sembra essere oggi molto più compatibile con il mondo multipolare del XXI secolo rispetto agli Stati Uniti. Ma dovrà dimostrarlo ancora una volta.
È a partire dal prossimo 1° luglio che l’Europa affronterà la prova del fuoco. Ufficialmente, questa data è infatti quella dell’avvio dell’attuazione del piano di annessione dei territori occupati da parte di Israele[1], ma anche dell’inizio di una presidenza forte del Consiglio dell’Unione: quella della Germania[2]. Probabilmente questa simultaneità non è solo frutto del caso…
Non è necessario approfondire i motivi per cui questo piano fa correre rischi esistenziali naturalmente ad Israele ma anche all’Europa, rischi che vanno da una ripresa degli atti terroristi ad una nuova ondata di migranti arabi e/o israeliani passando per un’esplosione del razzismo e dell’antisemitismo, con alla fine il ritorno dei governi «populisti» – o peggio euro-sovranisti versione hard.
Se è direttamente in gioco il futuro dell’Europa, al contrario di quello della remota «isola America», è comunque agli Stati Uniti che la Storia ha dato la responsabilità di innescare il processo finale di transizione di una crisi medio-orientale tanto vecchia quanto le istituzioni transatlantiche di cui ci occupiamo in questo numero (creazione di Israele: 1948[3]). Ma «innescare» un processo non vuol dire necessariamente «portarlo a compimento».
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