Le rivolte popolari crescono e si moltiplicano: primavere arabe, Occupy Wall Street, Indignados, Maidan, voti populisti, gilet gialli, Iraq, Algeria, manifestazioni contro il riscaldamento climatico, Hong Kong, Libano, Cile, Venezuela, Ecuador, Bolivia… strade in fiamme, mercati traballanti, e l’unica spiegazione data è povertà, aumento delle disuguaglianze, tasse… «l’economia» naturalmente!
Lungi da noi l’idea di scartare il fattore economico dalla contestazione popolare: come in ogni rivolta, il fattore scatenante è appunto economico. Ma non appena il malcontento assomiglia a una tendenza pesante e globale, va dapprima individuato un processo rivoluzionario.
E una rivoluzione corrisponde a un bisogno di cambiamento di «regime».
Anticipiamo che la marea rivoluzionaria che sta conquistando il mondo comincerà a rifluire durevolmente solo quando verranno messi in atto i primi modelli democratici moderni. Secondo noi, tuttavia, ci sono meno che mai le condizioni per assistere a questo evento, che è un processo ventennale. Nel frattempo, assisteremo innanzitutto alla «tecnologizzazione» tramite i Big Tech, l’IA e la blockchain, dal controllo sulle opinioni alla richiesta sempre più pressante di interessi finanziari, economici e politici in atto… con tutte le derive, recuperi, manipolazioni e guerre di opinione che porterà all’assenza di un controllo democratico di tali strumenti.
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